Si vive rannicchiati

Il 18 termino con un giorno di anticipo le razioni extra di pane. La razione viene diminuita un’altra volta a 220 gr. nominali di pane e nella sbobba vien messa della farina in compenso. Ogni cambiamento significa un giro di vite al torchio che fabbrica lavoratori e un buco più stretto alla nostra già tesa cinghia. La fame in certi momenti è spasmodica – la bramosia di pane ricorda i tempi di Deblin, l’avidità con cui mangio le rape crude da foraggio parla chiaro a me stesso. Posta e pacchi non ne arrivano. Le partenze di lavoratori son rimandate a dopo Natale, così che almeno in tal senso per qualche giorno saremo tranquilli; ma le prenotazioni aumentano nonostante il richiamo al dovere indirizzatoci dal Colonnello Testa, comandante italiano del campo.

Il 22 mi si annuncia un pacco – la felicità di riempire la pancia a Natale però crolla subito perché al ritiro il pacco non mi vien dato poiché non ho il piastrino regolare. In giornata me ne annunciano un altro. Mi agito disperatamente per regolarizzare il piastrino e, dopo alterne emozioni, il 24 ritiro un pacco, di Brunello, ove trovo pane marmellata e tabacco. L’altro a dopo le feste. Il freddo è intensissimo e non c’è modo di accendere le stufe. La notte si scende a –20. Il fiato si condensa nell’aria e dal soffitto della baracca pendono ghiaccioli da esso formati. Si vive rannicchiati e avvoltolati nelle tre copertine senza mai un momento di benessere. L’alimentazione ci fornisce, a detta dei medici, poco più della metà delle calorie necessarie – il resto lo prendiamo dai nostri già logori organismi. Sono dimagrito ancora parecchio, e così gli altri. All’infermeria ricoverano alcuni per congelamento – in alcune baracche la temperatura notturna è di parecchi gradi sotto zero.

In questo clima passiamo il secondo Natale di prigionia; la poca legna dataci non riesce a rompere il gelo. I tedeschi non danno niente più del solito: nel rancio vengono messi i viveri raccolti dai riceventi pacchi. Io fortunatamente ho qualcosa da aggiungere, ma la fame arretrata è tanta che in quattro giorni il pacco è finito. Fortunatamente il 28 ritiro un pacco spedito in settembre da zio Oreste: contiene pasta riso formaggio, un delizioso pezzo di vero cioccolato ed un miscuglio di pasticcini e biscotti riso e zucchero sbriciolati e miscelati. Con un tale miscuglio mi farò delle squisite pappe dolci, il rimanente lo centellinerò un po’ per giorno. Ricevo anche mezzo etto di tabacco – grande conforto per parecchi giorni. Il freddo ed il disagio aumentano ogni giorno e in tale atmosfera termina il 1944, disgraziatissimo anno, e maturano i progetti di lavoro.