Da Wesuwe a Oberlangen

Passo la notte tra il 18 ed il 19 sulle dure tavole del letto – tanto dovrò abituarmici – e, alle 4, ora di sveglia, mi affretto a mettere le cose residue nel sacco. Alle 5 adunata e, dopo poco, inizia la rivista alla persona ed al bagaglio piccolo. Io non ho niente di proibito e quindi niente mi vien tolto. A chi ne ha, vengon tolte le coperte da casermaggio e sostituite con un cencio malandato. Alle 7 la rivista è terminata e, dopo una attenta e reiterata conta, usciamo dal campo di Wesuwe e anche questo cancello si chiude alle nostre spalle; la permanenza è durata quasi 4 mesi – non è stata certo piacevole ma la partenza fa pensare che un’altra tappa della prigionia è terminata.

La marcia attraverso torbiere e campi è piacevole. Il ginocchio non mi dàeccessivo fastidio e le sentinelle sono umane. Si canta e ci si guarda attorno estasiati dalla parvenza di libertà. Si passa attraverso gruppi di case coloniche linde ed eleganti, si vedono donne e bambini, gente apparentemente libera e felice. Alle 11 arriviamo ad Oberlangen. Il campo è più piccolo di quello lasciato. Ha 13 baracche piccole, tutte strapiene. La 8a è stata riservata a noi ed entriamo a cinque per volta. Quando entro con gli amici ho una delusione: metà baracca è arredata con castelli a tre piani e la metà con castelli a due è già completa. Ci sistemiamo nei tripiani: io ho sotto Pluto e sopra Panazza. Accanto c’è Faralli e dall’altra parte Manni e Spaccesi. Bragante e Panin sono riusciti a sistemarsi in un biposto. Troviamo qui colleghi già lasciati a Deblin e abbiamo subito ampi scambi di ottimistiche idee. Il rancio è confezionato meglio che a Wesuwe e pare che non ci sia, come là, dispersione di patate. La sera ci vengon date sette assicelle per le cuccette ed i pagliericci vuoti. È impossibile distendersi su quei sette fragili sostegni che segano il corpo ed io passo la notte accanto a Pluto, nel suo posto a terra. La stanchezza mi fa dormire profondamente ma alla mattina mi alzo con le ossa rotte.

Per tutto il giorno 20 la camerata è trasformata in una bolgia infernale dato che ognuno si dà da fare per sistemarsi il posto. Io passo la giornata all’aperto dato che il tempo è eccezionalmente sereno; mi riservo di sistemare il posto dopo ritirato il bagaglio. Alla sera vien dato il primo elenco pacchi, il che denota prontezza nella sistemazione dell’ufficio. Poi vengono richiesti 400 ufficiali per il raccolto di fagioli nelle campagne attorno. Cominciano le discussioni. La sera Pluto dorme a terra e mi cede le sue tavolette, così dormo su un piano duro ma completo.

I colleghi che da Deblin sono venuti qui direttamente sono stati molto meglio di noi, almeno moralmente, non avendo avuto vessazioni per lavoro, torba ecc. Ma il nostro arrivo, evidentemente, mena gramo. Il 21 sera comincia a circolare una voce secondo la quale ci sarà il lavoro obbligatorio ed il 22 ci viene data la comunicazione ufficiale: dal 1° agosto saremo inviati al lavoro e solo fino a tale data potremo scegliere fra le offerte che arrivassero con il solito sistema, poi non ci sarà più riguardo per zone bombardate, miniere ecc. Probabilmente saremo impiegati nello sgombero delle macerie delle città bombardate. Le prospettive non sono allegre ma ognuno è ben deciso a non dare adesioni volontarie ed a subire la propria sorte con rassegnazione. Per la prima volta c’è unità di intenti e coesione fra gli internati – questo vale a dimostrare che la lunga permanenza fra i reticolati ha affratellati i migliori di noi, cioè i rimasti. Il comportamento della massa è migliorato e lo comprova il senso di serio patriottismo che anima tutti.