24 ottobre: arrivo a Gambsein

Il 24 mattina, quando ci svegliamo siamo in stazione a Belford. Durante la ora di sosta ci riassestiamo. Il paesaggio, le sagome delle case coi tetti molto inclinati, la nebbia leggera, danno al paesaggio un aspetto nordico. Anche il clima non è più quello della Provenza: fa decisamente fresco. Passo la mattinata seduto alla portiera aperta con le gambe ciondolanti fuori – non avrei mai pensato di dover viaggiare in questo modo che un tempo mi sembrava indecoroso anche per dei semplici soldati.

Il paesaggio è verde e arioso e cambia nuovamente aspetto quando entriamo nella valle del Reno. Proseguiamo verso nord e sostiamo a Mulhausen. La città è decisamente tedesca; le case hanno finestre piccole e tetti spioventi, si vedono campanili gotici, accuminati. Ci viene distribuito, dall’organizzazione femminile tedesca per i militari di passaggio, un rancio caldo e del caffè. Ripartiamo e, dopo una corsa di una sessantina di chilometri attraverso una pianura malinconica, arriviamo a Strasburgo. Sono le 15. Si riparte presto e il treno riferma dopo non molti chilometri presso un campo di concentramento cintato da alti reticolati. Siamo a Gambsein. Scendiamo con tutti i nostri bagagli e prendiamo posto in baracche attrezzate con cuccetta. Attorno al campo circolano sentinelle armate. Se non ci fossero con noi gli aderenti alla Germania, soggetti allo stesso trattamento, avremmo la sensazione di essere dei prigionieri.

Il 25 abbiamo un trattamento alimentare che ci giunge nuovo e poco gradito: 150 grammi di pane, una brodaglia con alcune patate con la buccia e crauti acidi, un cucchiaio di marmellata. Di tanto in tanto ci adunano e ci contano. Si diffonde la notizia che tutto ciò che non è strettamente indispensabile viene sequestrato dai tedeschi in una severissima rivista. Tutti eliminano l’inutile e svendono tutto quanto può trovare un acquirente. È una vera e propria liquidazione a prezzi fallimentari. Io però mi tengo tutto quanto ho – non occorre essere molto furbi per accorgersi che in quella notizia c’è nascosto l’interesse dei soldati italiani che comperano tutto per pochi soldi. Siccome, dopo che mi son state rubate le scarpe a La Cran, son rimasto con i soli stivali, acquisto da Vivona, per pochi franchi, un paio di scarpe da sci. Si dice anche che i viveri vengono sequestrati. C’è chi abbandona del pane ed io raccolgo per terra mezza pagnotta e me la metto nel sacco. A sera si canta per ingannare il tempo, secondo la buona tradizione alpina.