Lasciamo la Cittadella

Il 23 mattina passiamo la rivista alla persona dopo aver abbandonata definitivamente la cameretta che ci ha ospitati per oltre quattro mesi. La rivista è rigorosissima: vengono inesorabilmente tolte da addosso tutte le cinture, le corde che superino la grossezza di un normale spago, le lame, le limette, i temperini, le forchette e tutto quanto sia all’infuori dell’elenco di oggetti permessi già esposto. Ognuno di noi viene spogliato completamente o quasi e vien esaminato con una meticolosità che ha del clinico in ogni particolare della persona. È una cosa penosa ed umiliante che a me viene evitata grazie al momento di buon umore del soldato tedesco a cui capito in mano che si limita a palpeggiare a lungo la giacca di pelle, per rendermela poi malvolentieri mentre ad altri vien tolta, ed a guardarmi negli stivali. Comunque si tratta di un esame superficiale perché a molti altri vengon scuciti abiti e scarpe per timore che si celino in essi contanti o altro.
Mi considero fortunato per aver portato a salvamento il mio giaccone, anche se per salvarlo ho dovuto lasciare il cappotto russo, e per aver evitato il lato più odioso della perquisizione sulla persona. Siamo divisi in gruppi corrispondenti ai vagoni assegnatici e continuamente tenuti d’occhio da numerose sentinelle che ci impediscono di avvicinare chiunque. Manni e Ronda si sono uniti a me ed a Segantini scambiandosi con altri due.
Terminata la rivista veniamo sistemati nella chiesa centrale della Cittadella ove attendiamo, battendo i denti per il freddo, circa un’ora. Con Ronda Manni e Segantini mi accoccolo sotto il pulpito, al riparo dalle correnti gelide, e comincio ad intaccare i viveri per il viaggio dato che lo stomaco è a digiuno dalla sera innanzi. Verso l’una, incolonnati per gruppi, sfiliamo dinanzi alla cucina per i prigionieri in transito e ci vien dato un mestolo di brodaglia di miglio, poi un mestolo di caffè lungo e semifreddo. Altra breve attesa quindi, la porta che si era aperta l’8 novembre per farci entrare alla Cittadella, si richiude alle nostre spalle.

Subito fuori c’è pronta la lunga teoria di carri merci nei quali veniamo fatti salire dietro chiamata nominativa alla quale bisogna rispondere col proprio numero di matricola. Sul vagone in carico il Capitano Crak della Polizia Tedesca ci da una ultima occhiata indagatrice e toglie qualche cinghia di tascapane sfuggita alla visita nonché qualche pezzo di spago a suo giudizio troppo grosso. Anche Ronda e Manni la fanno franca e prendono posto nel vagone n° 10 con me e con Segantini. Dimenticavo il comportamento di Cailotto durante la distribuzione del rancio – varrà la pena di parlarne in seguito. Non appena siamo saliti nella vettura la pesante porta vien fatta scorrere ed assicurata all’esterno con un lucchetto. Non usciremo più fino all’arrivo.