Arrivano i prigionieri russi

Il 21 marzo, contrariamente agli ordini, non si fa la rivista al bagaglio. La si fa il 22. I tedeschi par che godano a rovesciare le nostre cassette ed a rimetter dentro il contenuto alla rinfusa ogni cosa dopo averla palpeggiata minuziosamente. Sequestrano soldi, diari, coltelli a loro giudizio troppo lunghi e, quando capita, lenzuola e capi di biancheria. Particolare attrattiva hanno per loro gli accendisigari e le manolux che passano in gran numero nelle loro tasche. Io mi imbatto in un buon diavolo che si accontenta di togliermi un metro metallico che forse gli sembra pericoloso nelle mie mani. Non ho, d’altra parte, niente di proibito. Alla rivista mi son presentato in cappotto russo, lasciando nella camerata la giacca di pelle; ed ho fatto bene perché alcune vengono requisite. Dopo la rivista il bagaglio viene ritirato per la spedizione ed io consegno il sacco alpino, che non ha chiusure, la valigia che ho munita di lucchetto da un lato ma che si è aperta dall’altro cadendo dal carretto durante il trasporto, ed il sacco col materasso. Tra attesa e rivista è passata la mattinata, quando rientro alla cameretta ove ognuno racconta le vicende del proprio bagaglio.

In complesso è andata bene a tutti – forse perché nessuno aveva oggetti proibiti. Mentre noi ci prepariamo frettolosamente alla partenza, alla Cittadella cominciano ad arrivare i prigionieri russi. Sono malvestiti e malissimo calzati ma hanno aspetto florido. Camminano lenti nei loro zoccoloni di legno e di stracci, con qualcosa di solenne nel portamento e con lo sguardo assente, rassegnati e pazienti, indifferenti a quanto si fa e si dice attorno a loro. La sera, mentre siamo all’appello delle 5, un centinaio di essi transita davanti ai fili spinati del terzo blocco. Sono lenti come al solito, ordinati militarmente, cadenzati nel passo e cantano, con voci perfettamente intonate, una nenia malinconica e solenne come loro. Il motivo della canzone russa mi rimane a lungo nelle orecchie ad accompagnare le mie riflessioni su questo immenso popolo che così poco conosciamo e che fa pensare, nelle sue mistiche manifestazioni di fanatismo e di rassegnazione, ai più orientali fra i luoghi comuni letterari ed alle più false ipocrisie occidentali. Scambio alcune parole con un gruppo di russi, poco più tardi, rendendomeli amici con un pizzico di tabacco: per quanto mi riesce di capire vivono con in cuore le vive speranze di chi ha qualcosa di bello e di elevato da raggiungere e con la fiducia di chi è certo che il periodo nero da attraversare è breve.