La nostra nuova sede

Al giorno 6 mattina ci vien dato l’ordine di trasferirci alla Cran con tutto il nostro bagaglio. Rimangono a Hyères soltanto gli ufficiali assegnati alla 5a compagnia, che comprende suonatori e servizi, e cioè Tagami, Ferrari, Portalupi, Gavioli e Bellodi.  Carico i bagagli sulla carretta che ci è assegnata, compreso un materasso che mi seguirà poi fedelmente per molto tempo e mi incolonno con gli altri. Pochi chilometri e ci è dato di prender visione della nuova nostra sede: una costruzione ricca di scantinati e di androni, ma assolutamente priva di locali abitabili. È popolata da certi topi giganteschi e non è consigliabile entrarci.  Ci sono già degli ufficiali provenienti da Tolone, sono in gran parte meridionali ed evidentemente non hanno grandi esigenze igieniche.

La località aveva servito, fino a pochi giorni prima per concentrare ed ammazzare quadrupedi. C’è ovunque un forte puzzo di putrefazione. Scavando la terra di pochi centimetri, si trovano avanzi animali e miriadi di vermi. Scegliamo un angolo meno sporco degli altri e piantiamo la nostra tenda all’ombra di due querce, presso un fiumiciattolo dalle acque sudice. Al di là dell’acqua vi è un accampamento di soldati lavoratori. Il presidio tedesco è composto di pochi uomini e non ha possibilità di fare il servizio di guardia. Pertanto vengono messe attorno al campo delle sentinelle italiane. Si direbbe che i tedeschi vedano con piacere che noi si tagli la corda: o hanno voglia di rincorrerci a fucilate o proprio non sanno che farsene di noi.

Passo il primo giorno di permanenza alla Cran coricato perché ho la febbre. Mi purgo e tutto passa. Nel frattempo i colleghi hanno avuto il permesso di andare al paese ove procurano arnesi per organizzare una mensa. Il Comandante italiano del campo è un maggiore della territoriale siciliano, si chiama Rosario Colonna ed è sempre circondato dalla nidiata dei suoi subalterni. Vorrebbe essere un sornione, un furbo, ma non è altro che un fifone – è amenissimo quando parla francese con i tedeschi – ha un accento indescrivibile e non riesce a farsi capire se non con lunghi e complicati giri di parole.