Un perenne brivido

Il primo giorno riprendiamo contatto con Spaccesi, Capretti e Tranquillini, che sono sparsi in varie baracche; rivedo anche Tiraboschi, Vivona e altri. Il secondo giorno, 2 dicembre veniamo a sapere che ci sono nel campo quelli del Monte Berico, ex 39° e ci precipitiamo a cercarli. Li troviamo, Morandi, Vianello, Gulfi, Tonani, un po’ patiti ma sempre in gamba. Sono qui dal gennaio ed han fatto la cura del freddo più di noi – ci raccontiamo la storia della nostra prigionia e rievochiamo anche i bei tempi di Aidussina. Concludiamo traendo un lieto auspicio dal fatto che ci siamo ritrovati: assieme abbiamo cominciata la naja, assieme la finiremo: siamo all’ultima fase.

Il 3 dicembre troviamo anche Varisco e completiamo i racconti. La notte dal 3 al 4 dura 14 ore, il mattino del 14 per ritardo di alcuni alla adunata veniamo puniti con due ore di permanenza fuori e rientriamo in baracca intirizziti tanto che soltanto la sbobba alle 2 potrà scaldarci. Il 5 dicembre ritroviamo i capitani Gallavresi Turi e Bertolotti che pure sono qui da quasi un anno. L’affare del freddo comincia a farsi spesso – sono torturato da mattina a sera e anche la notte faccio fatica a scaldarmi. Ogni attività è resa impossibile dai piedi gelidi – faccio fatica a leggere la “Storia della Matematica” di Colerns che pure mi interessa e ad ogni momento devo smettere per muovermi; la baracca mi pare quanto mai inospitale con i suoi muri gelidi e il suo arredamento sommario – in certi momenti mi pare acquisti un valore di cosa viva, di mostro particolarmente rivolto verso di noi. La sua rude semplicità mi fa pensare che l’uomo primitivo, liberatosi dalla caverna, abbia costruito qualcosa di simile.

Il giorno 5 riusciamo ad avere rancio e viveri soltanto nel tardo pomeriggio a causa di un allarme, il 6 facciamo il bis, fintanto che il 7 il comando tedesco ci permette di far funzionare le corvè anche durante l’allarme.

Il 7 dicembre S.Ambrogio, c’è un raduno di milanesi, ma io non vi partecipo perché mi è antipatico lo spirito campanilistico che anima tali assemblee. Vado invece al cinema ove vedo uno stupido vecchio film francese che, dopo tanta lontananza, riuscirebbe a divertirmi se il gelo ai piedi non mi tormentasse fino allo spasimo. Nel pomeriggio di S.Ambrogio i milanesi hanno organizzato un altro ritrovo con concertino di fisarmonica ma il cinema mi ritarda il pasto e non ho tempo per andarci. Il congresso di milanesi tende alla creazione di una specie di associazione con tendenze allegre e fini di mutua assistenza alla quale dovrò dare la mia adesione.

Dalle ore 14 del 5 dicembre pipa e bocchino pendono alternativamente vuoti dalle mie labbra – ma questa volta la fame più forte della voglia di fumare, mi fa sembrare minore la sofferenza che altre volte mi era sembrata insostenibile. Anche Colombo Manni e Portalupi sono senza sigarette – quindi… mal comune… Trovo nel campo il capitano Saint Pierre e poco dopo l’amico Gaggi il quale è sistemato nella buia 7/2 – son contento di rivederlo e mi riprometto di frequentarlo per quanto possibile. Colombo e Portalupi hanno fatta l’agenda per il 1945 e in questo c’è tanta tristezza – l’anno scorso a quest’epoca stavo preparando il calendario del ’44 con la certezza che non mi sarebbe servito fino in fondo. Farò anche quello del ’45 – e questo sarà certamente l’ultimo poiché ammesso che si possa superare anche questo inverno se non finirà la prigionia, finiremo noi. Il morale è basso: il fisico è demolito – non si potrà continuare certamente per un altro anno. Manni trova un amico medico, vice direttore dell’infermeria – ottiene di demolire, se possibile, ancora un po’ più il morale con l’esposizione della situazione sanitaria del campo. In un vicino ospedale gli italiani tubercolotici hanno una razione inferiore alla nostra il che significa che sono inesorabilmente condannati – i russi nelle stesse condizioni hanno da parte dei tedeschi trattamento anche peggiore – segno che il debole riflesso delle convenzioni internazionali che arriva fino a noi serve a qualcosa.

Il 9 dicembre troviamo, al mattino, il cortile gelato. Le pompe non danno acqua. Nel pomeriggio nevica. L’11 dicembre sono di corvè – vado a pigliare il tiglio che nevica – il freddo è intenso e quando rientro, per riscaldarmi, devo tornare a letto. Per tutta la mattinata non ci danno viveri a causa della mancanza di carbone in cucina e a causa di un lungo allarme. L’attesa, verso mezzogiorno, diventa spasmodica. L’umidità della camerata è indicibile – il pavimento è perennemente bagnato, il soffitto gocciola, la biancheria non si asciuga mai completamente, stivali scarpe e contenuto dei sacchi ammuffisce e puzza – lo stesso letto è costantemente intriso di umidità e le coperte sono gelide. L’esistenza si è trasformata in un perenne brivido che ha breve sosta solo durante la consumazione del rancio caldo.