La terra fradicia di Wiezendorf

I giorni passano, monotoni e tetri, senza che le buone notizie dal fronte riescano a sollevare il morale depresso – tutti sappiamo ormai quanto siano penose le delusioni che seguono i facili entusiasmi, ciò non toglie però che le nostre orecchie siano costantemente tese a raccogliere ogni notizia che passa i reticolati. Il 25 novembre mattina Capretti parte e, poche ore dopo, nell’elenco dei partenti col 3°scaglione al 29 novembre, sentiamo i nostri nomi: Colombo, Manni Biraghi e Portalupi. La partenza così in comitiva non ci da eccessivo dispiacere – sarà questione di superare una volta di più il disagio delle marce, del viaggio, delle disinfestazioni e delle riviste con relativo pericolo per le coperte e per il resto.

Comincio i preparativi con un poderoso bucato e con i progetti circa l’allestimento del bagaglio. Pensiamo che è una fortuna non aver distrutta la nostra piccola comitiva e supponiamo che a Wietzendorf non si stia peggio che qua. Colombo riesce a superare il problema del fumare vendendo una giacca a vento olimpionica per 50 gr. di tabacco. Panazza e Milesi saranno i soli della comitiva composta a Wesuwe che resteranno qua.

Il 28 novembre si passa la disinfestazione con pennellate che io schivo lasciando il mio posto all’impidocchiato capitano Bertocchi e durante la giornata preparo il bagaglio, un po’ aumentato rispetto all’arrivo per via dei pacchi, ma sempre miserello. Metto nello zaino il vestiario e nel sacco di iuta la cianfrusaglie fra cui la stufa a manovella. Il 29 mattina, salutate le conoscenze, versiamo 2 coperte e passiamo alla cucina ove ci vengono dati 8 provvidenziali etti di zucchero arretrati che ci saranno molto utili durante il viaggio. Il comando italiano ha fatto la sua ultima puttanata facendo passare per volontari lavoratori alcuni che si erano messi in nota come volontari partenti per Wietzendorf – sa Dio le legnate che dovranno prendersi per chiarire l’equivoco. Sono contento di lasciare il campo comandato dal Colonnello Angelini, sporca figura di venduto.

Passiamo la rivista al corredo e questa volta ci rimetto la gavetta con tutto il suo tesoro di incisioni a ricordo delle tappe della prigionia. Mi viene lasciata, non so perché, la coperta superstite. Alle 11 circa lasciamo il campo con lo zaino in spalla mentre il bagaglio pesante ci vien trasportato. Con una allegra marcia di tre ore arriviamo a Bremenwörde e veniamo messi in 37 per ogni vagone. Questa volta si tratta di carri attrezzati con panche, paglia e stufa. Il gentilissimo capitano tedesco che comanda il trasporto ci fa avere del carbone, ci comunica che partiremo la sera e ci autorizza ad andare al gabinetto – cosa eccezionalissima durante i viaggi. Anche la scorta si comporta in modo umano. Ci vien data la razione del 29 consistente in quasi mezzo chilo di pane e in una fetta del solito pallido salame fatto Dio sa di quali sintetici ingredienti.

Verso le 8 il treno comincia a trotterellare e continua fino a mezzanotte – poi rimane immobile. Noi dormiamo stesi sulle panche e sulla paglia – la stufa funziona egregiamente – un allegro maresciallo ha tenuto a bada il personale ferroviario fintanto che ci appropriavamo di carbone supplementare. Al mattino non siamo affatto arrivati, come si doveva, e il treno fa una corsetta fino a Soltan poi, dalle 10 alle 17, il locale capostazione si diverte a sballottarci su e giù per la stazione in incomprensibili manovre. Siamo digiuni dalle 14 di ieri ed ingolliamo grandi cucchiaiate di zucchero per consolarci – chiediamo spiegazioni alla scorta la quale ci dice che si tratta di un ritardo imprevisto causato da bombardamenti; comunque nicht brot, nicht supe. Facciamo gli ultimi chilometri che è già buio e infine arriviamo.

Scendiamo e partiamo subito per il campo ove si arriva con mezz’ora di cammino. Qui veniamo messi in baracche vuote completamente, a terra sul pavimento bagnato, e non ci vien dato niente da mangiare. Accendiamo la stufa con rami secchi trovati cercando a tastoni poiché siamo al buio completo, e ne approfitto per metterci sopra la gavetta di Colombo – gli è rimasta – e per cucinarmi un pugno di riso – ultima mia risorsa. Lo mangio quando è cotto sola a metà, poi mi stendo a terra e dormo fino a che l’aria è tiepida per la stufa – verso le tre il sonno diventa impossibile per il freddo e tiro mattina fumando e discorrendo.